Tante storie magiche
Una piccola bugia per amore
Storia vera raccolta da Daniela Perelli
“Nonna, nonno, ci raccontate di come vi siete conosciuti?” domanda Luca con la sua solita curiosità, curiosità che sua sorella Giulia, seduta vicino a lui sul vecchio divano marrone di velluto, fatica a contenere.
Osservo mio marito, seduto al tavolo che c’è in salotto, mentre sorseggia la sua tazza di caffè. Ci pensa un po’ su e a dire il vero mi scappa un sorriso divertito, perché già so del modo teatrale in cui racconterà del nostro primo incontro.
“Enrico, ricorda di non omettere una certa verità…” gli dico uscendo dalla cucina comunicante al salotto per sedermi di fianco ai nostri nipotini e, insieme a loro, ritornare indietro nel tempo.
Non mi stanco mai, eppure quante volte ho raccontato e riascoltato la storia del nostro primo incontro che nostra figlia Daniela ci domandava sempre curiosa e non riuscendo neppure a immaginarci diversi da come siamo oggi, se non grazie alle fotografie tanto vicine a quel periodo che spesso tiravamo fuori dalla vecchia scatola di latta.
“Adri, ma quale bugia e bugia, sarà stato solo un piccolo dettaglio neanche troppo importante…” mi risponde sicuro di sé come sempre. Alzo un po’ gli occhi al cielo e lascio che anche questa volta sia lui a raccontare, perché devo ammettere che è piuttosto divertente. Poi, come sempre, farò il mio solito appunto sulla piccola bugia che ancora adesso, nonostante ne fosse lui l’artefice, lo infastidisce simpaticamente o che, come adesso, fa finta di aver rimosso.
“Allora, era il mese di febbraio del 1973 e, quella domenica pomeriggio, come poi spesso si faceva, sono andato a ballare al Piper con due cari amici di quei tempi” comincia.
“Esiste ancora il “Pipe”, nonno?” domanda Luca facendolo sorridere per la pronuncia.
“Credo di no, era una discoteca di Nervi, ora dovrebbe esserci un supermercato al suo posto, ma non ne sono sicuro” risponde.
“Nervi a Genova?” domanda Giulia.
“Sì, esatto.” Finisce di bere il caffè e continua.
“Stavo ballando e chiacchierando con gli amici, avevamo conosciuto qualche ragazza simpatica con cui ridere e scherzare, poi ho notato vostra nonna: alta e magra, indossava una gonna corta e una maglietta che si intravedeva da sotto il cappottino. I capelli lunghissimi, neri e lisci…”
“Ora li hai a caschetto e rossi, nonna” continua Giulia interrompendolo e osservandomi attentamente.
“Sì, sono più pratici e poi il nero con gli anni sbiadisce un po’” rispondo facendo spallucce sotto gli occhi attenti di entrambi.
“In quegli anni molte ragazze li portavano così lunghi, ma belli come i suoi ne avevo visti pochi, o forse non ne avevo neanche mai visti” continua cominciando a sorridere di gusto.
Non è mai stato molto incline ai complimenti, per cui quelli che fa so che sono davvero sinceri anche se lo imbarazzano un po’ portandolo a comportarsi goffamente.
“Erano bei tempi” continuo con una punta di malinconia.
“Sì, anche la musica, i balli, i modi di fare, erano tutta un’altra cosa.”
“Si usava ancora ballare i lenti, ora purtroppo non è più così” sibilo.
“Avete ballato i lenti? Cosa sono i lenti?” domanda subito dopo, Luca.
“Ma Luca, sono i balli abbracciati” gli risponde Giulia.
“Ah” controbatte lui.
“Infatti, l’ho proprio invitata a ballare un lento, non ricordo sulle note di quale canzone, ma andavano forte Mina e Claudio Baglioni nelle sale da ballo.”
“Vero, e di solito venivano alternati tre balli lenti e tre balli veloci” affermo con sicurezza.
“Continua nonno” lo incita, Giulia.
“Allora, sì, l’ho invitata a ballare e le ho chiesto: Come ti chiami?”
Luca e Giulia sono sempre più attenti.
“Adriana, e tu?”
“Enrico.”
“Quanti anni hai, Adriana?”
“Ventiquattro. E tu quanti anni hai?”
“Venticinque.” “Un solo sorriso e si continuò a ballare un po’ più stretti” termina con aria ancora un po’ sognante nel rivangare questi bei ricordi.
“E poi non vi siete detti altro?” domanda Giulia.
“Sai, non era come adesso, ci si conosceva poco per volta. Ci siamo dati appuntamento per quella stessa sera, sempre lì al Piper, solo che la nonna aveva sbagliato il treno ed era finita da un’altra parte, ritardando un bel po’” dice facendo ridere tutti e poi continua. “Le ho scritto il mio numero di telefono di casa sul pacchetto di sigarette vuoto.” Si ferma ancora per sorridere al ricordo e poi procede col racconto. “Pian piano, nel tempo, appuntamento dopo appuntamento, abbiamo cominciato a conoscerci un po’ di più” termina.
Lo guardo, fa finta di nulla ma sa dove voglio andare a parare.
“Poi mi ha presentato la sua amica Renata che a sua volta aveva conosciuto il ragazzo che poi è diventato suo marito e io le ho presentato i miei amici. Non ricordo male, vero?”
Annuisco.
“Sì, ricordi bene sia l’aneddoto sull’incontro di Renata con Paolo, sia l’aneddoto del pacchetto di sigarette. Però, stai dimenticando una parte molto importante del nostro primo incontro, ti avevo già avvertito prima di cominciare a rivangare e a raccontare…” continuo con un sorrisetto divertito.
“Davvero? Non ricordo bene, allora. Mi sembrava che non fosse successo altro” risponde con aria furba.
“Cosa nonno? Dai, lo vogliamo sapere! Mica fumi ancora, no?” continuano in coro i bambini.
Enrico fa una faccia innocente e mi guarda, poi sbuffa. Mi scappa da ridere ma mi trattengo perché so quanto è permaloso.
“Allora, intanto no, non fumo più da tantissimi anni e poi dovete sapere che io ero davvero intenzionato a conquistare la nonna, non me la sarei lasciata scappare. E, anche se adesso vi può sembrare strano, era sembrato strano anche a vostra madre quando le abbiamo raccontato questa storia la prima volta, c’era una mentalità un pochino più chiusa, più ristretta, seppur in modo non esagerato, ovviamente…” si ferma solo un momento e poi ricomincia.
“Quando la nonna mi ha detto che aveva ventiquattro anni sono entrato nel panico, era di un anno più grande di me e non volevo che pensasse fossi un ragazzino. Quindi le avevo detto di avere venticinque anni, quando in realtà ne avevo ventitré. Ovviamente poco tempo dopo le dissi la verità…”
“Certo, quando hai capito che ormai ero innamorata cotta e che non rischiavi di vedermi scappare via a gambe levate!” rispondo in maniera fintamente provocatoria.
“Ma nonno, non ha senso questa bugia! Dovevi dire subito la verità alla nonna.” Luca è davvero perplesso, Giulia guarda un po’ me e un po’ lui con il sorriso stampato in faccia.
Quel sorriso sincero e spontaneo che solo i bambini sanno offrire con innocenza e generosità.
“Lo so che non aveva senso, ma erano tempi così, cosa volete che vi dica…” bofonchia passandosi una mano tra i capelli.
“Comunque, dovete sapere che quando a qualche appuntamento dopo mi ha detto la verità io ho pensato tra me e me: ah, gli uomini!”
“Non ti sei arrabbiata?” mi domanda Giulia. Sospiro.
“No, non mi sono arrabbiata perché ho capito che era solo un piccolo segreto che lo faceva sentire speciale e maturo ai miei occhi. Si è trattato solo di… una piccola bugia per amore.”